La Finlandia non vuole vendere i Bitcoin sequestrati, mettendo di fatto nei “guai” uno dei suoi dipartimenti, ovvero l’agenzia doganale che si trova bloccata nel liberarsi di una sostanziosa quantità di criptovalute.
Finlandia contraria a Bitcoin e criptomonete
Tulli, l’agenzia, si trovò a confiscare un numero imponente di Bitcoin, ben 1666, nel 2016 a causa del fallimento di un sito web: una somma ingente anche se il valore della moneta digitale era “semplicemente” pari a 950 mila dollari. Nonostante gli sforzi l’agenzia della Dogana non riuscì a metterli in vendita a suo tempo non potendo attirare un numero valido di interessanti.
Il valore dei BTC adesso, nonostante le fluttuazioni, si aggira intorno ai 15 milioni di dollari: una cifra ancora più imponente che ancor di più ha difficoltà ad essere venduta: il problema? L’atteggiamento della Finlandia, essenzialmente contraria alle criptovalute, che non vuole attirare l’attenzione con una simile vendita. La paura è quella di “importare” involontariamente all’interno del sistema delle dinamiche che potrebbero mettere a dura prova la sicurezza stessa dell’agenzia doganale.
Sebbene possa sembrare strano in un mondo che sta scoprendo sempre di più il valore degli asset digitali, la Finlandia presenta da tempo questo atteggiamento di chiusura tanto da vietare nel 2018 ai funzionari doganali di mettere in vendita i BTC sequestrati su exchange o piattaforme di trading. Dando contestualmente l’ordine di conservarli in cold wallet.
Meglio vendere che conservare i BTC sequestrati
Quale è il problema in un simile atteggiamento? Ovviamente nessuno rimarrà danneggiato dalla permanenza di quei BTC all’interno di un cold wallet, ma allo stesso tempo nessuno e per prime le autorità finlandesi potranno beneficiarne.
Un comportamento completamente opposto a quello degli Stati Uniti, dove spesso le aste vengono organizzate e le criptovalute vendute spesso a un prezzo più basso di quello davvero conveniente. Il direttore di Tulli, nonostante il “problema”, ragiona in maniera analoga ai rappresentanti del suo governo. Ha infatti dichiarato:
“Dal nostro punto di vista, i problemi sono specificamente correlati al rischio di riciclaggio di denaro. Gli acquirenti di criptovalute raramente li usano per le normali attività“.
Questo è senza dubbio il punto di vista di qualcuno che non ha ben presenti le reali statistiche relative al mondo delle criptovalute: solo lo 0,5% delle transazioni totali crypto sarebbe legato a illeciti secondo gli ultimi studi del settore. Una maggiore conoscenza porterebbe contestualmente favorire sia un aumento della sicurezza per quegli Stati che ancora “temono” di lavorare con le monete digitali che un aumento del guadagno derivante dal sequestro da sfruttare per migliorare i propri servizi.